La prima testimonianza della cosiddetta variante Inglese risale al 21 Dicembre quando Boris Johnson la annunciò in una conferenza stampa straordinaria. Da allora sono cambiate molte cose. Facciamo il punto per capire quali debbano destare preoccupazione.
Ammetto che in principio la velocità con cui questo virus ha mostrato di adattarsi mi ha stupito. A mia discolpa, dico che secondo me quanto alta sia questa velocità non è stato ancora percepito dai più. Si continua a sentire e leggere che “la apparizione di varianti è un fenomeno normale” o che “tutti i virus fanno varianti”. Vero, ma esiste uno spettro. Alcuni, ad esempio, propongono paragoni rassicuranti coi virus del passato, come il morbillo. Il morbillo muta di più ma, vuoi per la regola del sei, vuoi per la conformazione sterica, è considerato universalmente un virus antigenicamente stabile al punto che questa stabilità è quasi difficile da spiegare. SarsCoV2 no. Cambia al volo da un giorno all’altro in maniera molto poco rassicurante. Avremmo potuto immaginarlo, considerando cosa si sa sui coronavirus felini, ma diciamocelo: pochi virus nella storia hanno ricevuto una attenzione scientifica così profonda in così poco tempo quindi è fisiologico trovare delle sorprese.
Un dato che mi ha aperto gli occhi e che secondo me è uno dei dati più interessanti della letteratura fino ad oggi riguarda proprio la capacità di questo virus di scappare dalla riposta anticorpale. Sta quasi insabbiato nel controlo di una figura supplementare di Goettlieb et al JAMA (valore in giallo sotto).
Nell’esperimento, i ricercatori hanno sequenziato il virus ai primissimi giorni dell’infezione e poi di nuovo dopo qualche giorno. La analisi dice che su 145 pazienti infetti, ben 7 hanno mostrato l’emergere di almeno una variante con mutazioni note di escape E484K; E484Q;F490S and S494P con frequenza allelica superiore al 15%. Nota bene: questo senza condizioni di pressione esterna (no monoclonali, no plasma. In quel caso sappiamo che il meccanismo di escape è perfino più efficiente). Insomma: nel 5% dei pazienti vediamo – cercandola – l’emergere di una variante nota in proporzione di almeno il 15%. Questo non ha necessariamente significato clinico per quel paziente che magari adatta il proprio sistema immunitario di conseguenza, ma ha un enorme significato epidemiologico riguardo alla facilità con cui sorgono nuove varianti nella popolazione.
Le varianti, quindi, non possono che destare attenzione. Sarebbe stupido non guardarle con attenzione ed è per questo che la Commissione Europea ha appena annunciato un piano eccezionale di monitoraggio delle varianti (incubatore Hera). Ma non basta un allarme generico. Bisogna invece puntare l’attenzione nella giusta direzione, come un faro nella notte.
Questi i cinque punti fondamentali secondo me finora.
1) Tolto il caso per quella Inglese, non ha più senso di mettersi a parlare di varianti in senso filogenetico. Non ha senso mettersi a rincorrere la Brasiliana o la Sud Africana o la Californiana come se fossero varianti che arrivano via aereo o via mare. Il motivo è che con il livello di contagio attuale, le mutazioni chiave di quelle varianti spuntano come funghi a Napoli così come a Canicattì. La mutazione E484K è ormai quasi dominante a Perugia senza che sia arrivata dal Brasile. È importante che questo messaggio passi perchè ha implicazioni importanti nella strategia di contenimento. Diventa inutile stare a guardare chi entra dentro le mura se poi all’interno si coltiva inconsciamente un brodo primordiale.
2) A Dicembre, quando è emersa N50Y1, la solfa che si sentiva continuamente tra alcuni esperti è che “è impossibile che una sostituzione singola possa sfuggire ad una risposta policlonale”. Il virus ci ha allegramente mostrato che dormivamo sugli allori facendoci due giri attorno e una pernacchia (vedasi figura sotto).
Certo, magari c’erano buoni motivi per pensare che fosse “impossibile” ma il trucco è appunto pensare in termini evoluzionistici. Se una mutazione è selezionata perchè scappa alla risposta anticorpale, vuol dire che scappa alla risposta anticorpale. È una questione di logica. Come diceva Theodosius Dobzhansky: “Nothing in Biology Makes Sense Except in the Light of Evolution”. Ci tengo a precisare che questo è uno dei motivi per cui non basta essere medico per capire come si comporta il virus. Bisogna anche essere biologo. Lo scienziato completo del 21esimo secolo è quello che non vede distinzione culturale tra le due discipline.
3) Tutti i vaccini sono disegnati sullo stesso antigene. Gli epitopi sono tutti identici. Forse cambia il livello di glicosilazione per alcuni, ma grossomodo stiamo parlando della stessa materia. Se una mutazione quasi azzera la risposta del vaccino Astrazeneca, è ovvio che avrà un effetto anche su Pfizer e Moderna. Magari minore, ma c’è da aspettarselo. Questo vuol dire che se sulle spalle di E484K nasce un’altra mutazione (o magari due o 10), il virus ha fatto in fretta a trovare una via per evadere pure l’altro vaccino. Tornando al morbillo: il morbillo lo conosciamo dagli anni 50 ed ha un numero minuscolo di serotipi, vicino all’uno. Vuol dire, in soldoni, che sono 60 anni che usiamo sempre lo stesso vaccino. Questo virus invece mostra già una dozzina di serotipi diversi dopo 6 mesi. Le case farmacaeutiche sono al lavoro all’aggiornamento vaccinale da gia due mesi almeno. Quindi direi: basta fare paragoni “rassicuranti” (per quanto “rassicurante” possa essere il morbillo, per carità).
4) A Dicembre dicevo: bisogna capire quanto facili sono le reinfezioni. Adesso che è assodato che sono facili, la prossima domanda è: bisogna capire se e quanto facili siano le reinfezioni sintomatiche gravi. Perchè è chiaro che ce la giochiamo tutta lì nei prossimi mesi. Se vediamo che i vaccinati si infetanno ma con pochi sintomi lecchiamoci i baffi. Vuol dire che forse è finito tutto e la malattia diventerà qualcosa con cui convivere quando tutti saranno vaccinati.
Se però iniziamo a vedere che i vaccinati si infettano con sintomi gravi, è un problema. Ci sono motivi per pensare che le cose possano andare in una direzione come in un’altra. Ad esempio, la mortalità in eccesso del Perù è tutt’altro che rassicurante.
Questa era una zona che aveva una sieroprevalenza fino al 70%. La figura sopra mostra che botta si sono presi con la seconda ondata (nota: quelli sono i morti, non gli infetti!). Qualcosa di simile se non identico è successo in Amazonia. Possibile che le seroprevalenze fossero mal calcolate; possibile che le condizioni igieniche sanitarie siano parzialmente colpelvoli; ma io tuttosommato uno sguardo attento glielo darei.
Al momento, in Italia, bisogna guardare a cosa succede in Umbria con molta attenzione. Per ora abbiamo casi aneddotici di reinfezioni gravi nei vaccinati ma sono appunto aneddoti. Ci vuole vigilanza molto attiva per capire quali sono i numeri veri. E allora, senza essere tacciati di allarmismo: possiamo ALMENO puntare il faro nella giusta direzione? Io non dico che accadrà, ma possiamo almeno chiedere di guardare esattamente dove dovremmo guardare? Ci sono motivi per pensare che una immunità residua protettiva esista e ci sono motivi per pensare che non esista.
5) Il 14 Marzo 2020, Mike Ryan dell’OMS diceva:
If you need to be right before you move – you will never win.
Perfection is the enemy of the good when it comes to emergency management.
Speed trumps perfection, and the problem in society we have at the moment is everyone is afraid of making a mistake – everyone is afraid of the consequence of error.
But the greatest error is not to move.
The greatest error is to be paralyzed by the fear of failure”
Questo rimane un fattore chiave. Il virus è veloce, non solo a infettare ma anche a mutare. Il lusso di agire solo quando siamo sicuri che sia pericoloso non ce lo abbiamo perchè se bisogna aspettare tutte quelle conferme, è troppo tardi. Bisogna riconoscere i problemi sul nascere e affrontarli sul nascere. Quindi, per piacere, basta parlare di terrorismo e allarmismo se qualcuno chiede di prestare attenzione. Sminuire un rischio è il modo migliore per aumentarlo.