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Lezioni dalle elezioni (2024).

Alcune considerazioni sui luoghi (più) comuni che circolano sulle recenti elezioni Britanniche. Pensate e scritte per il pubblico Italiano. La lista potrebbe crescere nei prossimi giorni.

1. Ha vinto la sinistra o ha perso la destra?

L’analisi che sembra interessare i più sembra sia quella meramente calcistica. Comprensibile, in una cultura che ormai ha appiattito il bipolarismo politico a una bega tra tifosi ubriachi. A prima vista, i numeri questa volta effettivamente si prestano a questo giochetto. I Labour hanno effettivamente guadagnato una percentuale relativamente piccola di voti (+1.4%), soprattutto se confrontata a quel che hanno perso i Tories (-19.6%).

    E in termini assoluti hanno addirittura perso quasi un milione di voti rispetto al 2019.

    PartitoAnnoLeaderVoti assoluti
    Conservative2015Cameron11,299,609
    2019Johnson13,966,454
    2024Sunak6,824,809
    Labour2015Milliband9,347,273
    2019Corbyn10,269,051
    2024Starmer9,698,809
    LibDem2015Clegg2,415,916
    2019Swinson3,696,419
    2024Davey3,501,040
    UKIP2015Farage3,881,099
    Brexit2019Farage644,257
    ReformUK2024Farage4,114,287

    Non sono solo i numeri grezzi ad andare in questa direzione. Anche la motivazione politica sembra confermare lo stesso scenario. In un sondaggio di YouGov, la motivazione principale per votare Labour questa settimana sembra essere “Cacciare i Tories” e “Il paese ha bisogno di cambiamento”. Solo il 5% risponde: sono a favore con le politiche del partito.

    Sulla base dei numeri e dei sondaggi, quindi, questo risultato potrebbe essere interpretato in vari modi – e ovviamente in tanti hanno preso la palla al balzo. Si può comodamente cercare di ridimensionare il successo Laburista, sostenendo che ci sia poco amore per Starmer e il suo partito (e indubbiamente tanto odio per i Tories). E si potrebbe perfino usare i numeri per alimentare l’annosa diatriba in seno alla sinistra su quale sinistra sia più vincente: quella romantica di Corbyin, o quella “moderna” e un po’ diluita di Blair e Starmer?

    In realtà queste conclusioni lasciano il tempo che trovano, per diversi motivi. Intanto perché viviamo in una società in cui cosiddetti swing-voters sono sempre più rari. La propaganda politica di ogni partito ormai si basa sulla demonizzazione dell’altro quindi è assolutamente irrazionale aspettarsi che ci sia una quantità considerevole di persone disposta a passare all’altra squadra da un anno all’altro. È uno sviluppo interessante del bipolarismo che alla fine crea, paradossalmente, una domanda per partiti terzi: se la paura e il ribrezzo non mi consentono di votare per il partito storicamente rivale, ecco che tutto cambia quando un nuovo attore politico si presenta davanti a me. (Tra parentesi, questa rimane secondo me la lezione più importante del M5S in Italia, che è riuscito negli anni a raccogliere voti in maniera bi-partigiana sfruttando proprio questo bias cognitivo.)

    Come si vede dai numeri sopra, c’è probabilmente pochissimo swing tra i votanti di destra e quelli labour. I voti che ha perso Sunak sono probabilmente andati più che altro in assenteismo (-8% rispetto al 2019) e una parte pare essere tornata a Farage (che è tornato ai numero del 2015, pre-Brexit referendum).

    Le condizioni pre-elettorali sono anche molto diverse. Nelle elezioni del 2019 il partito conservatore era largamente favorito ai sondaggi e questo ha condensato il voto di sinistra. D’altro canto, Corbyn era sicuramente molto temuto dalla destra e questo ha rinforzato il voto conservatore. Insomma, la polarizzazione era alle stelle e il clima era profondamente diverso da quello attuale.

    Starmer è sicuramente meno demonizzato dai tabloid Inglesi di quanto non fosse Corbyn e questo ha creato sicuramente un clima più rassegnato (e rilassato) tra i votanti di Destra. I sondaggi del 2024, inoltre, davano un margine enorme ai laburisti, che ha probabilmente contribuito al declino in voti assoluti verso Starmer.

    In sostanza, confrontare i numeri assoluti tra un’elezione e un’altra è un esercizio infondato e inutile. Ogni elezione è figlia del suo tempo e viene condizionata da una marea di fattori che rendono ogni confronto molto complicato. Una cosa è chiara però: molti di coloro che hanno comunque deciso di votare per i Conservative lo hanno fatto turandosi il naso. Il partito ha veramente pagato caro non tanto le scelte politiche ed economiche degli ultimi anni (come fanno intendere i commentatori Italiani) ma soprattutto l’incompetenza e il caos.

    2. L’insorgenza dell’estrema destra.

    Il partito di Farage ha preso per la prima volta 4 seggi in parlamento, a fronte di 4 milioni di voti. Questa è vista da alcuni come una insorgenza dell’estrema destra, similmente a quanto si è già visto in altri paesi Europei. In realtà la questione è un po’ più complessa. Intanto, Farage ha ripreso grossomodo gli stessi voti che prese nel 2015. Prese 3.8M di voti nel 2015 quando il suo partito si chiamava UKIP e aveva come punto principale in agenda l’uscita dell’EU; ne ha raccolti 4.1M adesso, farneticando sugli stessi problemi e fantomatiche soluzioni. La motivazione principale per votare estrema Destra, nel 2015 come nel 2024, in UK come in Francia, è la xenofobia. La correlazione più solida e importante con il voto di estrema destra non è il numero di immigranti in un paese, ma la percezione che il pubblico ha del numero di immigranti.

    In sostanza, il voto a destra non deriva dal numero di immigrati reale (che per esempio in Italia è sotto il 10%) ma dal numero di immigrati che si ritiene reale (che in Italia è del 25% in media, e probabilmente molto più alto tra chi poi vota a Destra) (grafico Ipsos Mori). La questione dell’immigrazione e dell’identità sociale è sempre stata il motore fobico delle destre. È su questa percezione alimentata dai media e della propaganda che bisogna agire, soprattutto considerato che le migrazioni umane sono una delle conseguenze principali del cambiamento climatico e che la questione si presta a una manipolazione sempre più importante.

    Se il cambiamento quasi inesistente nei consensi a Farage ci fa ben sperare, c’è comunque un altro aspetto molto meno rassicurante: il partito conservatore inglese degli ultimi 9 anni è già stato un partito di estrema destra. Le politiche tories rispetto a immigrazione, diritti civili, libertà di opinione e protesta, politica fiscale, sono già traslate incredibilmente a destra dopo le dimissioni di Cameron e l’avvento di Theresa May e si sono consolidate ulteriormente dopo il repulisti di Johnson. Il tentativo di inviare quei quattro gatti di richiedenti asilo in Rwanda da parte del governo di Sunak (peraltro spacciando poveri richiedenti asilo per immigrati clandestini) è già un esempio lampante di politica populista di estrema destra, che non a caso viene scimmiottata in Italia con l’intenzione di mandare richiedenti asilo in Albania e dagli USA che vogliono mandare i loro richiedenti asilo…. in Italia. Siamo tutti il Rwanda di qualcun altro.

    3. È l’inizio della fine della Brexit?

    Difficile da dire. Brexit rimane un argomento tabù nella politica Inglese. È “l’elephant in the room”, ovvero quell’argomento che tutti sanno avere un effetto disastroso sulla politica e l’economia del paese ma che viene ignorato in campagna elettorale. Venne sostanzialmente ignorato perfino nelle campagne elettorali del 2017 e 2019, creando una sospensione temporanea del tutto paradossale dell’argomento che altrimenti dominava le pagine dei giornali ogni singolo giorno dal 2016.

    Starmer ha detto chiaramente che non vede nessuna opportunità per un rientro nell’EU per la sua generazione. I sondaggi mostrano che ancora circa un 40% degli Inglesi pensa che non sia stato un errore uscire dall’Unione Europea.

    L’oscillazione tra sondaggio e sondaggio, però, è enorme con una quota di indecisi che oscilla tra il 10% e il 20%. Sicuramente, chiamare un altro referendum sarebbe un episodio divisivo e politicamente suicida. È possibile, e dire probabile, aspettarsi un riavvicinamento graduale e magari generazionale, sulla falsa riga di quello proposto dall’Unione Europea che avanzava l’idea di un movimento libero solo per i giovani tra i 18 e i 30 anni.

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